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giovedì 3 aprile 2014

Indie: per scelta o per forza?

Tanto per sgomberare il campo da dubbi, e versare il giusto tributo agli amanti della lingua italiana, dirò che per indie si intende chi pubblica i propri scritti in maniera indipendente, senza passare per una casa editrice. In italiano dovrei dire autore auto pubblicato, oppure autore indipendente, ma sono pigro e indie mi piace. 

E, sì, lo so che non parliamo di indiani d'America e che il tepee non c'entra nulla, però è carino e ce lo metto.

La domanda che mi sono fatto in questi giorni è la seguente: in Italia si diventa indie per scelta, oppure lo si è perché non abbiamo alternativa? 

La risposta non è così semplice come potrebbe sembrare. Da una parte verrebbe da dire che non si tratta di una scelta. È molto raro che un autore venga pubblicato da una casa editrice senza prima fare una certa trafila, quindi sono tanti quelli che decidono di intraprendere la strada  della pubblicazione indipendente. Per una buona fetta di queste persone tuttavia, il vero sogno, il vero obiettivo, è quello di essere scelti da un editore. L'esperienza indie è quindi un passaggio fatto nella speranza di essere notati e poter entrare nel vero mondo dell'editoria.

Questi sono gli indie per forza, quelli per i quali l'essere indie è un po' un ripiego, o al massimo un passo verso la vera meta. Sia chiaro non c'è niente di male in questo.

Tuttavia, i veri indie sono quelli che non vogliono pubblicare con una casa editrice, ma hanno fatto la scelta di essere editori di se stessi in maniera consapevole. I veri indie inoltre dovrebbero essere caratterizzati da una qualità editoriale di livello molto simile a quella fornita dalle migliori case editrici. Sottolineo che parlo di qualità editoriale, non di sostanza dello scritto, che è un discorso diverso: posso avere un libro ben confezionato ma orribile a livello di contenuto. Questo perché l'obiettivo di un vero indie non è farsi notare da una casa editrice, per la quale dover fare l'editing di un nuovo autore è un fatto scontato, ma ottenere successo come autore-editore. Con la consapevolezza quindi di dover fare anche il lavoro che normalmente è compito dell'editore: editing, copertina, formattazione etc.

Ma il vero indie quindi non passa mai con una casa editrice? È un duro e puro che non cambia mai idea? Come dicevo all'inizio la risposta non è così netta. Si può partire volendo essere veramente autori indipendenti, e poi cambiare idea di fronte a un'offerta davvero allettante, magari non cercata e inaspettata. Direi che in generale è lo stato mentale di chi intraprende questa strada che conta, e i confini non sono per niente netti.

Se si ha come obiettivo ultimo quello di sfondare con una casa editrice allora si è indie di passaggio, almeno nel cuore, anche se magari si finisce per rimanerlo per sempre. Se invece si ha come obiettivo quello di avere successo come autore indipendente e non si cerca una casa editrice che ci accolga, allora si è indie puri, anche se poi, magari, qualcuno finisce per pubblicare con una grande casa editrice, se l'occasione è abbastanza ghiotta.

Semplice no? Per niente, perché perfino io non sono sicuro di potermi inserire nell'una o nell'altra categoria. Così, alla fine, forse faremmo bene a considerarci tutti indie di passaggio, andando poi a contare sulle dita della mano quanti sono quelli che dentro di loro sono davvero convinti di volerlo rimanere a dispetto delle possibili offerte delle case editrici.

Indie di passaggio, ma lavorando come se fossimo indie puri, perché quello che conta alla fine è essere letti, e dare emozioni a chi ci sceglie e, se possibile, qualcosa su cui riflettere.



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